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Non è sempre sostenibile ciò che è "GREEN"


L’attenzione verso prodotti e acquisti più sostenibili è molto aumentata negli ultimi anni. I consumatori sono più sensibili ai temi ambientali e sociali e cercano di orientare le proprie scelte in una direzione più sostenibile, ma spesso non è così semplice districarsi tra i tanti prodotti etichettati “green”, “ecocompatibili”, “ecologici”. Le pratiche di greenwashing, oggi così diffuse, possono rendere difficile distinguere cosa è sostenibile, da cosa non lo è. 

Conoscere queste dinamiche è il primo passo per individuarle e soprattutto per evitarle. Oggi, parlando del greenwashing iniziamo su GocciAgocciA un percorso orientato a conoscere le etichette ambientali, che possono essere utili per evitare di essere ingannati da pubblicità fuorvianti. 


Fino a qualche anno fa ambiente e sostenibilità non erano argomenti di interesse quotidiano, mentre oggi la consapevolezza su questi temi è aumentata tra la popolazione. Secondo un sondaggio Nielsen del 2015, il 66% dei consumatori era disposto a pagare di più per prodotti sostenibili, percentuale che cresceva al 72% tra i giovani millennial. Tuttavia, ad aumentare non è stato solo l’interesse verso l’ambiente, ma anche le pratiche sleali di greenwashing da parte di molte aziende.

Che cos’è il greenwashing?

È un termine largamente utilizzato attualmente, con cui viene indicata quella strategia comunicativa che alcune società impostano, per mostrarsi “sostenibili”, “eco-friendly”, con l’unico obiettivo di migliorare la propria immagine. Il contenuto delle comunicazioni si rivela, in questi casi, pieno di affermazioni fuorvianti, che mancano di un supporto scientifico, preparate per sfruttare l’interesse per l’ambiente dei consumatori e attrarli ad acquistare i loro prodotti o servizi.

L’evoluzione del greenwashing

La pratica del greenwashing non è in realtà nata di recente, il termine fu infatti coniato ufficialmente nel 1986 da Jay Westerveld e, come viene ricordato in un articolo del The Guardian “The troubling evolution of corporate greenwashing”, si hanno tracce già negli anni ‘60. Quello a cui assistiamo oggi è sicuramente un’intensificazione del fenomeno, proporzionale all’aumento dell’attenzione posta verso l’ambiente dalle persone, come hanno rivelato i risultati dell’indagine della Commissione Europea del 1° febbraio 2021. Questa ricerca evidenzia che il 42% delle affermazioni delle imprese esaminate possono essere considerate false o ingannevoli. Eppure, spesso, riconoscere ciò che è realmente ecosostenibile da ciò che invece è semplice strumento di greenwashing può non essere così immediato. Oltretutto, esistono varie forme di tali pratiche che rendono ancor più complicato identificarle. La Direttiva 2005/29/CE della Commissione Europea sul tema ci aiuta a capire che sono tanti i gesti che possono rientrare nell’accezione del greenwashing:

A seconda delle circostanze, tale pratica può comprendere tutti i tipi di affermazioni, informazioni, simboli, loghi, elementi grafici e marchi, nonché la loro interazione con i colori, impiegati sull’imballaggio, sull’etichetta, nella pubblicità, su tutti i media (compresi i siti Internet), da qualsiasi organizzazione che si qualifichi come “professionista” e ponga in essere pratiche commerciali nei confronti dei consumatori.”

Alcuni casi di greenwashing

Quali sono le tipologie di greenwashing più diffuse

  • spesso non vengono fornite informazioni sufficienti per poter verificare quanto viene enunciato dal commerciante;
  • le informazioni sono prive di fondamento, sono generiche;
  • non vengono forniti elementi accessibili a sostegno delle affermazioni cosiddette “eco-friendly”.

Di seguito si riportano alcuni casi – esempio.

Il caso dell’americana Westinghouse, operante nel campo dell’energia nucleare, insegna che è greenwashing ignorare completamente gli impatti ambientali negativi, divulgando solo ciò che è positivo. Negli anni ’60 l’azienda produsse una serie di spot pubblicitari in cui veniva proclamata la pulizia e sicurezza delle proprie centrali nucleari, ma non parlava degli incidenti che avevano interessato qualche anno prima due sue centrali e ignorava i preoccupanti impatti ambientali delle scorie nucleari.

Il caso di ENI invece, più recente, insegna che è altrettanto greenwashing comunicare “male” e in modo “parziale” le informazioni, omettendo quei dati che mostrerebbero l’impatto negativo del prodotto. L’Azienda è stata sanzionata nel 2020 per la pubblicità del carburante Eni Diesel +, a causa dei “messaggi pubblicitari ingannevoli”, in quanto venivano promossi positivi impatti ambientali legati al suo utilizzo, in termini di riduzione dei consumi e delle emissioni, ma fuorvianti. Il carburante era proclamato “green”, sebbene si trattasse di una contraddizione già evidente nel concetto. Un carburante, essendo tale non può essere considerato sostenibile, per cui il suo utilizzo non “aiuta a proteggere l’ambiente”, come invece veniva pubblicizzato. 

Come riconoscere ed evitare il greenwashing?

L’affermazione che un prodotto è a ridotto impatto ambientale deve essere quindi supportata da dati scientifici. Valutare l’impatto ambientale di un prodotto è un processo che richiede l’applicazione di metodologie standardizzate e riconosciute, prima fra tutte il Life Cylce Assessment. Lo stesso vale per la comunicazione ambientale che è retta anch’essa da standard internazionali, ad esempio la norma ISO 14063, che indica criteri e requisiti da seguire per dichiarare informazioni trasparenti e corrette, evitando di fatto il greenwashing.

Un primo indicatore utile a riconoscere la sostenibilità di un prodotto è l’etichetta che deve essere ben letta quando si acquista. Fermarci alle semplici diciture come “eco-friendly”, “green”, “amico dell’ambiente” non è sufficiente per affermare che si stia facendo una spesa sostenibile, ma è necessario approfondire. Esistono diverse tipologie di etichette ambientali, ed è importante distinguerne le differenze per poterle riconoscere quotidianamente senza farsi ingannare dalle pratiche sleali del greenwashing.

Sebbene ci si è qui focalizzati sulla comunicazione ambientale errata, è importante ricordare che non mancano i casi di corretta informazione. Esistono ovviamente prodotti che sono a ridotto impatto ambientale e più sostenibili di altri, ma è importante saperli riconoscere. L’etichetta ambientale è un utile strumento per verificarli e selezionarli, che ci permette di fare degli acquisti consapevoli e supportare i “buoni” prodotti sotto questo punto di vita.

Le diverse tipologie di etichette esistenti verranno approfondite in questo blog prossimamente.


Fonti e link utili


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